Di Staughton Lynd
18 agosto 2015
Una teoria e un modo di vita
Indagando ulteriormente, si conclude che il conflitto tra marxismo e anarchismo è essenzialmente non un conflitto tra due teorie, due schemi per comprendere i dilemmi attuali e per prevedere il futuro.
Senza dubbio il marxismo sia uno schema di questo tipo. Malgrado la tendenza ad aspettarsi che gli eventi avvengano più presto di quanto accadano in realtà, il marxismo offre un’analisi solida di tendenze a lungo termine nelle economie capitaliste. La fuga di investimento nella produzione dagli Stati Uniti negli anni ’70 e ’80 verso le società dove i salari sono molto più bassi, è l’illustrazione più recente dell’accuratezza essenziale di questo motore di analisi.
L’anarchismo non è, tuttavia una teoria di questo tipo e gli anarchici rappresentano male quello con cui possono e dovrebbero contribuire, presentando Bakunin e Kropotkin come avversari teorici di Marx.
L’anarchismo è un’affermazione di valori, di un modo di vita.
Serge, nelle sue memorie, scrive dei “primi sintomi di quella malattia morale che….che doveva provocare la morte del bolscevismo.”Serge attacca ripetutamente la convinzione che il fine giustifichi i mezzi. In un libro intitolato From Lenin to Stalin (Da Lenin a Stalin), sostiene che:
“I criteri morali talvolta hanno maggior valore che i giudizi basati su considerazioni politiche ed economiche… E’ falso, cento volte falso che il fine giustifichi i mezzi… Ogni fine richiede i suoi mezzi, e un fine talvolta si ottiene con i mezzi appropriati.”
Perciò, “una specie di intervento morale diventa il nostro dovere.” Serge dà il meglio di sé quando descrive le dimensioni morali delle decisioni.
Alla fine degli anni ’20, dopo che a Trotsky era stato ordinato di andare in esilio e dopo che Serge era stato espulso dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Serge (secondo quanto detto da uno dei suoi editori) decise di passare dall’agitazione a forme più durature di testimonianza politica e artistica.
Un primo prodotto era stata una storia della rivoluzione russa nel 1918. In quell’anno Serge non era ancora in Russia e il libro ha una strana piattezza, quasi una bidimensionalità accademica. (Serge scrisse anche una storia del secondo anno della rivoluzione, quando vi era presente e profondamente coinvolto. Questo, però, è uno dei manoscritti confiscati dalla polizia segreta e che è scomparso). In un’opera successiva intitolata Twenty Years After [venti anni dopo], Serge delineò i destini di una lista infinita di individui che conosceva e che cosa era loro capitato. Cercò di giustificare il suo approccio come segue:
“Sì, questa lotta dei rivoluzionari contro la macchina che frantuma ogni cosa ha un qualcosa di deprimente quando ci si pensa…in astratto, senza vedere le …facce, senza essere a conoscenza delle loro vite, senza la terra russa, i muri, le finestre. Mi piacerebbe cancellare questa impressione. Ognuno di questi uomini ha la sua vera grandezza. Non sono sconfitti, sono degli oppositori e spesso hanno anime vincenti.”
Il corpus dell’opera di Serge non è privo di contraddizioni. Nel libro tratto dalla sua esperienza in prigione, Serge condannava la pena di morte e la condanna all’ergastolo in prigione senza possibilità di libertà condizionale, ma giustificava la pena di morte quando “ne abbiamo bisogno.”
Al contrario di molti riformatori di prigioni che ci sono ora negli Stati Uniti, considerava che anche i secondini sono imprigionati – in Francia all’epoca, dall’età di 25 anni fino al pensionamento a 60 – e come gruppo “non sono né migliori, né peggiori degli uomini che sorvegliano.” Quando fu rilasciato, dopo aver scontato una condanna a 5 anni, Serge scrisse: “Volevamo essere rivoluzionari, eravamo soltanto dei ribelli. Dobbiamo diventare termiti che trapanano ostinatamente, pazientemente per tutta la nostra vita. Alla fine la diga si sbriciolerà.”
Non è chiaro neanche dove Serge sia arrivato a un’economia desiderabile. Nell’ultimo libro che scrisse, il romanzo Anni spietati, D, un protagonista comprensivo dice: “L’economia pianificata, centralizzata, amministrata razionalmente, è ancora superiore a qualsiasi altro modello. Grazie a questa, siamo sopravvissuti in circostanze che avrebbero liquidato qualsiasi altro regime.”
Tuttavia, un decennio prima, Serge aveva scritto nelle sue Memorie che nella Nuova Politica Economica dell’Unione Sovietica dei primi e medi anni ’20:
“La produzione su piccola scala, il commercio su scala media e certe industrie avrebbero potuto essere risuscitate appellandosi all’iniziativa di produttori e consumatori. Liberando le cooperative strangolate dallo stato, e invitando varie associazioni a prendersi carico dell’amministrazione di rami diversi di attività economica, si sarebbe potuto ottenere subito un enorme livello di ripresa.”
“In una parola, discutevo per sostenere un “Comunismo di associazioni:” – in contrasto con la varietà del Comunismo di stato. La competizione intrinseca a questo sistema e il disordine inevitabile in tutti gli inizi, avrebbe causato meno disagio rispetto alla nostra centralizzazione strettamente burocratica, con la sua confusione e paralisi. Pensavo al piano complessivo non come a qualcosa ordinata dall’alto dallo Stato, ma piuttosto come conseguenza dall’armonizzazione, dai congressi e dalle assemblee socializzate, da iniziative dal basso.”
Gli ultimi romanzi
Si ha la forte impressione che nella narrativa Serge possa dire più pienamente quello che sente. E così il lettore ricorre al libro The Case of Comrade Tulayev (Il caso del compagno Tulayev), scritto a Marsiglia, nella Repubblica Dominicana, e in Messico nel 1940-1942, and to Unforgiving Years (Anni spietati). L’iscrizione alla fine di quest’ultimo, è “Messico 1947”, il luogo e l’anno della morte di Serge.
Il romanzo sul “Compagno Tulayev”, era stato suggerito dall’assassinio di un importante bolscevico, di nome Kirov, nel 1934. Alla fine del libro tre uomini vengono giustiziati per l’assassinio del Compagno Tulayev. Tutti sono completamente innocenti. Due sono presumibilmente tipici burocrati sovietici in ascesa, venali ma non assassini. Il terzo deve essere uno dei personaggi più attraenti della narrativa di Serge. E’ Kiril Rublev, uno storico che, insieme a sua moglie Dora ugualmente convinta, spera di essere “presente nel momento in cui la storia ha bisogno di noi.”
C’è un’integrità inflessibile in questo libro, come quella del Professor Rublev. I lavoratori non hanno un lasciapassare. Quattromila operaie di una fabbrica chiedono la pena di morte per coloro che hanno ucciso il compagno Tulayev.
Secondo me due cose risaltano nel libro. Settanta anni fa ho conosciuto Serge e questo romanzo. L’unica cosa che ricordavo col passare del tempo era la riflessione di un personaggio che si chiama Stefan Stern, ucciso da agenti sovietici in Spagna. Prima di sparire per andare incontro alla morte, Stern riflette:
“Dopo di noi, se scompariamo senza avere avuto il tempo di compiere il nostro dovere o semplicemente di dare testimonianza, la consapevolezza della classe operaia sarà cancellata per un periodo di tempo che nessuno può calcolare…Un uomo finisce concentrando una certa unica chiarezza in se stesso, una certa esperienza insostituibile.”
Quando non avevo neanche 20 anni, lessi questo brano con distacco. Ora mi sembra che mi sia molto più vicino.
E’ ancora più straordinario il ritratto di Stalin nel romanzo, noto nelle sue pagine come “il Capo.” Un vecchio bolscevico dice a un altro: “Il Capo è stato in un impasse per molto tempo…Forse vede più lontano e meglio di tutti noi…Credo che abbia deciso delle limitazioni, ma non abbiamo nessun altro.” Sorprendentemente, un vecchio compagno che si chiama Kondratieff, dice la stessa cosa direttamente al Capo. Prende un appuntamento con il Capo per implorare di salvare la vita di Stern. Mentre i due uomini camminano su e giù nell’enorme ufficio del Capo al Cremlino, Kondratieff, dice: “La storia ci ha giocato questo scherzo, abbiamo soltanto voi.” E, sorprendentemente, il capo non lo spedisce nel sotterraneo dove l’NKVD – Commissariato del popolo per gli affari interni (succeduto alla Čeka, la polizia segreta dell’URSS ) sta giustiziando una generazione di capi bolscevichi. Kondratieff viene inviato a gestire l’estrazione dell’oro nella zona più lontana della Siberia.
E dove sta, allora, la speranza per l’autore la cui clessidra è quasi vuota di sabbia? Il caso del Compagno Tulayev termina con azioni sconnesse di generosità individuale.
Xenia, figlia di un burocrate del partito comunista, riesce ad andare a Parigi dove gioisce della ricchezza borghese. In un modo o nell’altro, in un giornale che trova per caso, vede, vicino all’annuncio di un avvenimento sportivo, una nota che parla di tre uomini che devono essere giustiziati per l’omicidio di Tulayev, compreso il professor Rublev, amico occasionale della famiglia. Sconvolta, va a far visita a un ben noto compagno comunista francese. Telefona in Russia. Viene convinta a prendere una macchina, poi un aereo, e alla fine la vediamo arrestata, avviarsi infelicemente sulla strada verso una destinazione sconosciuta.
Nella steppa un’azienda agricola collettiva che si chiama “Strada verso il futuro” è a un punto morto. Ci sono state già due purghe. La carestia è alle porte. Non ci sono semi, non ci sono cavalli, non c’è benzina. Mandano messaggi al centro regionale ma nessun aiuto è imminente. Kostia, un giovane comunista, e un agronomo che si chiama Kostiukin, si fanno venire un’idea. L’intero villaggio andrà a piedi al centro regionale distante circa 55 km. e cercherà aiuto con questa azione diretta. Funziona! E durante la strada Kostia tiene in braccio Maria e apprende che è una “credente.” In che cosa crede? Non sa formularlo a parole.
Prima della sua esecuzione, il professor Rublev ha chiesto che gli concedano qualche giorno per scrivere un memorandum. Lo fa e lo scritto svanisce nelle carte connesse alla sua morte. Miracolosamente, queste arrivano proprio nelle mani di uno dei massimi burocrati della polizia segreta, di nome Fleischman.
Per prima cosa Fleischman legge una lettera di un giovane che non mette la sua firma. La lettera dichiara in modo persuasivo che il suo autore, agendo da solo, ha ucciso Tulayev. Fleishcman brucia la lettera.
Poi legge il memorandum di Rublev, dove sono incluse le parole: “Siamo testimoni di una vittoria che ha sconfinato troppo nel futuro e che ha chiesto troppo agli uomini.” Fleischman finisce il memorandum apprezzandolo.
Poi lascia l’ufficio per andare ad assistere all’avvenimento sportivo citato sul giornale vicino alla notizia dell’esecuzione di Rublev e degli altri. Questa è la fine del libro.
Cinque anni dopo aver finito il libro su Tulayev, terminò Anni spietati. Molto in contrasto con il curatore che traduce e scrive l’introduzione al libro, io credo che la fine di questo romanzo sia melodrammatica, scoordinata e del tutto indegna del suo autore. (Per esempio, D, il personaggio comprensivo citato prima, alla fine diventa proprietario di una “piantagione” messicana, e dice “ Io faccio laviorare i miei manovali.”) Nella prima sezione, invece, prima che il romanzo e lo stesso Serge sembrano andare lentamente a pezzi, Victor Serge offre alcuni incisivi ricordi della sintesi di anarchismo e marxismo ai quali aveva dedicato la sua vita.
All’inizio del libro, D riflette: “Quando tutto è stato detto e fatto, abbiano fatto questo a noi stessi.” Più in dettaglio riflette:
“Non ho niente altro da invocare, tranne la coscienza, e non so neanche che cosa sia. Sento sorgere da una parte profonda sconosciuta di me una protesta inutile che sfida il mio opportunismo personale, il potere, tutta la realtà materiale, e in nome di che cosa? Di un’ispirazione interna? Mi sto comportando quasi come un credente. Non posso fare altrimenti: sono parole di Lutero, tranne che il visionario tedesco…continuava, aggiungendo: “Dio mi aiuti!” Che cosa verrà ad aiutarmi?”
Pensa anche tra di sé:
“Non possiamo fidarci più di nessuno. Nessuno avrà mai più fiducia in noi. Quel legame terribile, quel legame più salutare di tutti i legami umani, quegli invisibili fili d’oro e di luce e di sangue che collegano gli uomini impegnati con un giuramento in un’impresa comune, quelli, li abbiamo infranti.”
D e la sua collega Daria cercano di inserire la loro angoscia in un’analisi economica.
Daria fa una paternale a D sul tema: “La produzione porterà la giustizia.”. .D, però, è
tormentato dal dubbio, pensando:
“Non si dovrebbe, mentre ci si occupa di tutte quelle scatole di pillole e di fornaci avere un pensiero per gli uomini? Un pensiero per il poveri diavolo di oggi…che non può accontentarsi di faticare sotto il giogo, mentre aspetta le medicine del domani e le linee ferroviarie? Il fine giustifica i mezzi. Che truffa! Nessun fine può essere raggiunto con nulla se non con i mezzi appropriati.”
Daria dice: “I giorni dell’accumulo primitivo li abbiamo alle spalle.” D risponde:
“Non nel nostro paese. E i giorni della distruzione stanno per arrivare.”
Alla fine Daria sembra concordare con la prospettiva di Dario quando dice:
“Alessandro, sto per farti una domanda che può sembrare irrazionale o infantile, ma, comunque, ascoltala. Non abbiamo dimenticato l’uomo e l’anima?” D risponde:
“Il nostro errore imperdonabile è stato di credere che quella che chiamano anima – io preferisco chiamarla coscienza – non era altro che una proiezione del vecchio egoismo di cui ha preso il posto.”
C’è comunque un piccolo barlume ostinato, una luce incorruttibile che a volte può brillare attraverso il granito di cui sono fatte le mura delle prigioni e le lapidi sulle tombe, una piccola luce personale che scoppia dentro di noi per illuminare, giudicare, confutare, o condannare del tutto. E’ una luce che la proprietà di nessuno e nessuna macchina può misurare; spesso trema in modo irrisoluto perché si sente sola.”
“…Abbiamo commesso il nostro errore mortale…quando abbiamo dimenticato che soltanto questa forma di coscienza può ottenere la riconciliazione dell’uomo con se stesso e con gli altri…Ho sgobbato sull’importante letteratura…[La rivoluzione] avrebbe dovuto significare liberare ciò che c’è di meglio nell’uomo e questo invece temo che sia andato distrutto con tutto il resto. E diventiamo prigionieri di un nuovo carcere…Io esco.”
Conclusione
“Il pensiero anarchico”, nel libro “Gli anarchici non si arrendono mai”, pag. 202-228, è la conclusione personale di Serge riguardo al modo in cui l’anarchismo e il marxismo potrebbero essere sintetizzati. E’ stato scritto alla fine degli anni ’30 quando aveva lasciato l’Unione Sovietica ma rimaneva con tutti i suoi poteri.
Serge accetta l’analisi economica marxista. Dice dell’anarchismo che era “l’ideologia degli artigiani su piccola scala” e che mentre lo sviluppo industrial diventava più notevole nell’Europa meridionale, “l’anarchismo cedeva la sua preminenza nel movimento rivoluzionario al socialismo dei lavoratori marxisti.”
D’altra parte, il movimento dei lavoratori della fine del 19°secolo e degli anni prima della I Guerra mondiale era
“conficcato nel fango di una società capitalista durante un periodo di espansione. Vaste organizzazioni sindacali e potenti movimenti di massa, di cui la social democrazia tedesca è l’esempio migliore, in realtà facevano parte di un regime che sostenevano di combattere. Il socialismo si imborghesì, anche nelle sue idee, che deliberatamente sopprimevano le previsioni rivoluzionarie di Marx. Le aristocrazie della classe operaia e le burocrazie politiche e sindacali fissarono il tono delle richieste della classe operaia che furono attenuate o ridotte semplicemente a un rivoluzionarismo semplicemente verbale. …Questo socialismo ha perduto la sua anima rivoluzionaria….”
“La teoria dell’anarchismo comunista,” continuava Serge, “procede meno dalla conoscenza, dallo spirito scientifico che da un’aspirazione idealista.” Ma riguardo “al modo in cui questo si deve ottenere, non c’è una parola di spiegazione.” E così, all’inizio della Rivoluzione russa “gli eventi inesorabilmente proponevano l’unica domanda fondamentale, quella per la quale gli anarchici non hanno nessuna risposta: quella del potere.” In modo notevolmente dettagliato Serge dimostra che quando la possibilità di insurrezione si presentò nell’autunno 1917, “si sarebbe cercata invano l’abbondante letteratura del periodo per un’unica proposta pratica.”
C’è una lunga discussione del rivoluzionario ucraino Nestor Makhno(un argomento di cui so poco) in cui Serge sembra darsi pena di presentare entrambi i lati di una complessa controversia, e di attribuire un po’ di verità a ognuna. Chi è stato responsabile del soffocamento di questo “movimento contadino profondamente rivoluzionario?” si chiede Serge. Risponde che non è stata questa o quella persona, non uno o un altro gruppo; è stato “lo spirito di intolleranza che afferrava sempre di più il Partito Bolscevico dal 1919;….”la dittatura dei capi del partito che tendevano già a sostituirsi a quello dei soviet e anche del partito.” Chiunque sia stato responsabile, continua Serge, è stato un enorme errore.” Era stato scavato un abisso tra gli anarchici e i bolscevichi che non sarebbe stato facile colmare. “La sintesi del marxismo e del socialismo libertario, così necessaria e che potrebbe essere così fertile, era stata resa impossibile per un futuro indefinito.”
Victor Serge terminò la sua valutazione notevolmente imparziale, citando l’ultimo famoso messaggio di Vanzetti, e continuando:
“Questa forza morale…non viene diminuita dall’intrinseca debolezza dell’ideologia anarchica. Offre poco spazio alla critica dottrinale. Semplicemente esiste. Se, avendo imparato da tutto quello che stiamo vivendo sulla nostra pelle, il socialismo libertario che lo anima fosse abbastanza forte da assimilare i successi del socialismo scientifico, questa sintesi garantirebbe ai rivoluzionari un efficacia incomparabile.
Staughton Lynd è uno storico, avvocato, attivista di vecchia data e autore di molti libri e articoli. Si può contattare su salynd@aol.com
Nella foto: Victor Serge
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: http://zcomm.org/znet/article/anarchism-marxism-and-victor-serge
Originale: Non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0